Alla vigilia di Roma-Udinese è intervenuto ai nostri microfoni Pierpaolo Marino, ex direttore sportivo di Roma e Udinese. Di seguito le sue parole.
Si aspettava una Roma così vicina alla testa della classifica? Come valuta l’apporto di Gasperini?
“Devo dire che mi aspettavo una Roma nel tempo così, non me l’aspettavo così rapidamente e con le caratteristiche che ha questa Roma che somiglia più a una squadra pragmatica che non alle squadre di Gasperini, che sono squadre dominanti con molti gol fatti, qualche gol subito in più. Invece vedo una squadra solida con continuità di risultati e devo dire che in così breve tempo era difficile prevederlo. Anche se avevo fatto i conti, conoscendo bene Gasperini mi aspettavo questo tipo di fisionomia del campionato della Roma magari con qualche mese in più di tempo”.
Come valuta l’operato di Massara? Questa squadra è attrezzata per entrare tra le prime quattro o c’è bisogno di qualche innesto a gennaio?
“Il mercato della Roma è stato un mercato strategicamente valido, io poi non posso che parlare bene del mio pupillo Frederic, che ho scoperto da giocatore portandolo dalla Serie C con il Pescara in A. È un ragazzo molto preparato, attento, lavoratore instancabile. Già durante il mercato avevo previsto una Roma importante”.
Quanto è cambiato il ruolo di direttore sportivo negli anni?
“Il ruolo non è cambiato tanto per gli algoritmi dove anche un esperto, se non vogliamo dire un “vecchio” come me, è abbastanza preparato perché oggi il ritmo del lavoro, della vita, di tutto ti porta a considerare aspetti che nel passato non erano tanto importanti come quelli della tecnologia moderna e devo dire che gli algoritmi sono un supporto per il calcio, non sono la soluzione di problemi, ma per un direttore sportivo possono rappresentare un ulteriore supporto per sbagliare di meno. È un supporto che conosco anche abbastanza bene perché adottavamo anche all’Udinese dove sono stato fino a due anni fa. Il ruolo è cambiato non per questo, ma è cambiato perché sono cambiate le proprietà, sono cambiati i modi di pensare e anche le caratteristiche del pensiero dei giocatori, dei loro agenti. Oggi in Italia, correggetemi se sbaglio, abbiamo 11 o 12 proprietà estere e queste proprietà, molte fanno capo a fondi di investimento che vengono per consolidare i loro investimenti in un medio lungo periodo, quindi hanno delle strategie ben diverse da quelle degli anni 80 dove io sono stato alla Roma, sono stato al Napoli vincendo uno scudetto, all’Avellino dei Miracoli, che nella mia carriera ricordo come quello tra i più importanti, difficili per i risultati ottenuti, perché tenere 10 anni una società di una città di 50.000 abitanti, la mia città, in Serie A non è un fatto tanto semplice. In quei tempi il direttore sportivo era una figura importante, dominante. Oggi sono della categoria e mi sento ancora, della categoria, mi sento ancora fresco di entusiasmio, pronto per qualsiasi tipo di esperienza, e devo dire che però mi dovrei immergere e mi sono immerso fino a due anni fa in una realtà completamente diversa. Prima il Presidente e il direttore sportivo e molto spesso solo il direttore sportivo erano le figure decisionali. Oggi i direttori sportivi sono scelti da queste proprietà o da proprietari che anche se italiani dedicano il 100% del proprio tempo al club e non delegano granché, quindi in tutto questo c’è la pressione poi degli agenti. Ogni società ha 3-4 agenti che sono di riferimento, per cui il direttore sportivo finisce per l’angolo.
Che Udinese aspetta la Roma?
“Ero allo stadio contro l’Atalanta e devo dire che ho visto un Udinese dominante, stratosferica. Cosa che non si era vista fino all’ora, perché l’Udinese aveva alternato delle prove opache, a prove più convincenti, ma non era stata mai dominante come quella partita dell’ultimo turno con l’Atalanta e meritava più dello striminzito risultato vincente che ha fatto e mi ha sorpeso molto. Io non mi limiterai a Zaniolo ed Atta, che pur sono giocatori importantissimi, per esempio parlerei di Solet, un giocatore a cui la Roma deve stare molto attento, perché sulla carta è un difensore, è un ottimo difensore centrale, può giocare sia centrale che braccetto, ma è soprattutto un giocatore che, Runjaic sgancia molto in avanti, gli delega la costruzione del gioco e diventa un giocatore in più dalla meta-campo in su, dove è dotato di un gran tiro e di un piede delicato. Sa fare assist e sorprende un po’ gli avversari, in queste partite lo ha fatto, io credo che la Roma abbia studiato bene la partita. È un avversario ostico l’Udinese, anche per questa Roma, sarà una partita molto equilibrata e difficile per la Roma, anche se poi i giallorossi hanno tutte le capacità per essere favorita sulla carta”.
Quanto è importante che la Roma abbia tre uomini di calcio come Gasperini, Massara e Ranieri?
“È assolutamente importante, soprattutto per il discorso della proprietà estera, perché nonostante il calcio sia cambiato, il direttore sportivo sia una figura meno dominante che in passato, in realtà laddove mancano figure del genere, poi se ne sente la mancanza e quindi poi si va alla ricerca di pfigure simile, come ha fatto il Milan, per esempio, con Tare in extremis, di direttori che abbiano esperienza specifica, e la Roma ha poi la possibilità di sfruttare molto bene il “tesoro” che è Ranieri. Un uomo capace di dare un contributo qualitativo importante in qualsiasi ruolo lo si voglia mettere in società”.
Quale è il segreto dell’Udinese? Ogni anno cambia, ma trova sempre tanti talenti.
“Il segreto è che sia il coraggio di rischiare, un ambiente costruttivo e positivo che dà tempo alla società di lavorare e non chiede risultati immediati. Si crea un contesto virtuoso dove una strategia di sostenibilità tecnica ed economico finanziaria può essere attuato. In tante altre piazze non c’è questo tipo di serenità nel progetto.
Ci mette anche Roma tra queste piazze?
“Roma è particolare, io la conosco bene, ci ho lavorato con una figura però come quella di Dino Viola.
Che ricordo ha del Presidente Viola?
“Intanto facemmo un grandissimo terzo posto nel tempo in cui il Milan e Napoli dominavano, il Milan degli olandesi, il Napoli di Maradona, e noi arriviamo a terzi, per un periodo si pensava addirittura di inserirsi nella lotta per lo scudetto. Il ricordo più grande è quello di Dino Viola che è stato un personaggio, allora ero giovane, avevo 35-36 anni, che mi ha dato tanto, perché ho imparato tante cose, tanti modi di affrontare le situazioni che oggi ancora sono un tesoro per me. Veramente un uomo indimenticabile. Poi l’ambiente di Roma, è come esssere il capo dello Stato in Italia. Pur essendo stata a Napoli dove avevo ricevuto e ricevo grandissima considerazione, quel periodo della Roma le soddisfazioni furono enormi, ricordo addirittura che i tifosi cantavano la canzone “Lo vedi, ecco Marino”, sono ricordi straordinari. Poi in quegli anni arrivarono Rudi Fëller, Rizzitelli. Quella Roma la cambiammo di sette undicesimi, perché l’anno prima era stato esonerato Eriksson, fu un’annata travagliata, in un campionato a 16 squadre la Roma non si era neanche qualificata in UEFA. Nella ricostruzione cambiamo i titolari, molti prendendoli dalla B e arrivare terzi fu un risultato incredibile”.
Quest’anno i centravanti fanno fatica. C’è un problema centravanti o è una casualità?
“No, un po’ è casualità, non c’è un problema centravanti, un poco è cambiata anche la strategia tattica degli allenatori, perché molti amano giocare con un attaccante che sappia far salire la squadra e che abbia i piedi anche per mandare gli incursori in porta. Pensate al Napoli che l’anno scorso ha vinto lo scudetto con doppia cifra di McTominay, devo dire che Lukaku era bravissimo a far gol, ma non ha fatti tanti. Quindi penso che sia anche un modo di giocare che prevede che l’attaccante ripieghi molto e si dedichi molto meno all’area di rigore”.
