A cura di Diego Sarti
Un bronzo ai Mondiali, un Europeo messo in bacheca e un’attesa che cresce di generazione in generazione. Perché i ragazzi non vanno cullati: vanno sfidati. E Massimiliano Favo, tecnico dell’Italia Under 18, questo lo sa meglio di tutti. È appena tornato dalla full-immersion in Qatar con un terzo posto storico, eppure le sue prime parole hanno il sapore delle persone che non si accontentano: “Potevamo fare qualcosa in più”. E non suona come una critica, ma come un atto d’amore. In fondo è stato un Mondiale dei record: mai l’Italia era arrivata così in alto. Era la prima edizione a 48 squadre, dentro stadi che sembravano specchi di vetro immersi nel deserto. Per lui, un mese vissuto con un’adrenalina che non ammette repliche: “Ora sono rilassato, ma lì è stata durissima. Una partita ogni tre giorni, un dispendio enorme”. Eppure, la voce tradisce un orgoglio sottile, quasi pudico, quando racconta ai nostri microfoni ciò che ha visto.
IL SINISTRO D’ORO
Il Mondiale ha lasciato impronte tecniche ovunque, come passi sulla sabbia prima dell’alba. Ci sono nomi stranieri che rimbalzano già sulle scrivanie dei direttori sportivi: Mokio, centrocampista belga dal futuro scritto, e Moser, austriaco capace di segnare otto gol come se nulla fosse. Ma Favo frena: non vuole che la narrazione diventi esterofila per inerzia. “Hai fatto nomi significativi, ma anche i ragazzi della nostra nazionale hanno detto la loro. Abbiamo dei talenti sui quali poter fondare il futuro della Nazionale Italiana”. Non è una frase di circostanza. È un messaggio. Un invito a tornare a credere nel talento che nasce in casa nostra. Tra i vari, ci sono due calciatori della Roma: Antonio Arena, classe 2009, acquistato dal Pescara per un milione, e Valerio Maccaroni, nato e cresciuto dentro Trigoria. Favo li osserva da tempo: “Arena ha margini incredibili. Ha fame vera. Certi difetti li correggerà. È uno che vuole arrivare”. Su Maccaroni si illumina, come chi vede la luce nelle mani di un artista: “Ha una tecnica eccezionale e un sinistro divino. Se cresce come può, la Roma avrà tra le mani un giocatore importante”. Poi un pensiero, leggero ma sincero, alla Roma: “La storia dice che il vivaio giallorosso dà tanto al calcio italiano. Non posso sbilanciarmi, ma sono contento per l’entusiasmo che si respira attorno alla squadra”. E c’è spazio anche per gli addii, quelli che fanno parte del gioco. Federico Coletta, passato al Benfica e allenato fino allo scorso anno da Favo, ma ancora con Roma nel cuore: “A volte si fanno scelte. Non è una colpa né del club né del giocatore. Ma lui è legato alla Roma”.
MARADO’, MARADO’
Non tutti possono dire di aver visto Maradona. Massimiliano Favo può dire di averci giocato insieme. Napoli, Ancona, Palermo, Ascoli: un passato da calciatore dentro un calcio che oggi non esiste più. Lui sorride e lo ammette: “Non vorrei fare il boomer, ma era un calcio diverso. Più tecnico. Oggi è più veloce, aggressivo, fisico. A volte la tecnica c’è, ma resta nascosta dalla velocità”. È una lettura lucida, da uomo che ha visto cambiare il mondo e non si è irrigidito. E quando si tocca il tema della Nazionale maggiore, la risposta è netta: “Andremo ai Mondiali. Ne sono convinto. Il commissario tecnico ha competenza, carattere ed esperienza. Abbiamo le carte giuste”.
“LA MIA MISSIONE“
Il bronzo in Qatar. L’Europeo vinto a Cipro nel 2024. Una generazione che cresce, un’altra che bussa alla porta. Qualcuno potrebbe immaginare che ora Favo pensi al salto di categoria. Lui no. Risponde quasi con un sospiro, quello delle persone che hanno già trovato il loro posto nel mondo: “Non è questione di migliorare per me stesso. Le gratificazioni arrivano. La mia missione è far crescere questi ragazzi, prepararli al futuro del calcio italiano”. Camarda, Liberali, Coletta, Arena, Maccaroni, tutti quelli che stanno arrivando. Lui li vede prima degli altri. E vuole una sola cosa: che un giorno, guardando la Nazionale maggiore, possa dire: “Io c’ero quando hanno iniziato a sognare”.
