Tutti gli allenatori sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Perdonerà il genio precursore di George Orwell se adattiamo al calcio uno dei suoi concetti più potenti della sua favolistica quanto spietata analisi tragico satirica dell’URSS stalinista ne “La Fattoria degli Animali”, ma quanto sta accadendo a Roma e alla Roma sotto la gestione di Gian Piero Gasperini è qualcosa che sta andando oltre ogni più rosea aspettativa.
Tre mesi esatti. Dal 23 agosto a quello di novembre, il canuto e ruvido tecnico piemontese ha preso un pezzo di argilla amorfo e informe e l’ha reso una statua capace di colpire l’occhio per la perfezione dei suoi dettagli. Dall’1-0 contro il Bologna al 3-1 contro la Cremonese, la crescita della squadra e dei singoli che la compongono è avvenuta in maniera esponenziale. Nel mezzo tante piccole tappe, da quelle un po’ sgangherate ma che affacciano su paesaggi bellissimi (leggasi Derby) a quelle dolorose ma dalle quali impari a rialzarti e scrollarti di dosso la polvere senza piangerti addosso (leggasi i due ko con Inter e Milan).
Gasperini ha reso la Roma monolitica e solida, ma non bella, lasciatagli in eredità da Claudio Ranieri nel Ratto di Proserpina di Bernini. E il terzo goal di Cremona, o il secondo con l’Udinese, o ancora i 40 minuti di San Siro, sono come quelle dita del Dio degli Inferi infilzate nelle gentili carni della gamba della figlia di Cerere.
Con buona pace di un ambiente che in larga parte lo ha accolto nella migliore delle ipotesi con perplessità, nella peggiore con vili striscioni offensivi mai rivendicati da nessuno. E con buona pace anche di tutti coloro i quali per 30 mesi si sono fatti bardi del nulla calcistico propugnato da Mourinho e la sua banda, sventolando lo stendardo del “Che po’ fa co sta squadra”.
Ecco, quello che può fare un allenatore più concentrato sul campo – di gioco e di allenamento – che in sala stampa è quello di rendere un gruppo di calciatori volenterosi ma con grossi limiti di tecnica e personalità in un meccanismo in grado di colmarne quasi del tutto le lacune ed esaltare le certamente presenti capacità con e senza il pallone tra i piedi. Non senza faccia a faccia calorosi, non senza personalità, ma dosando sapientemente carota pubblica e bastone privato. Senza caccia alle streghe, senza traditori e senza clima da Mouccartismo che per due anni e mezzo ha trovato residenza e giustificazioni a Trigoria.
Dove e come finirà questo viaggio lo scopriremo solo vivendo. Nel frattempo resta la consapevolezza di aver iniziato un percorso fatto di gente di calcio, dentro, a bordo e fuori dal campo. Ci hanno messo qualche anno, ma alla fine anche i Friedkin hanno capito che per le cose di calcio, è bene affidarsi a persone che si interessano al calcio e non alle poltrone che girano intorno a un pallone che rotola.
Ah, e che non ci illuda quell’esultanza sulle tribune dello Zini costata qualche pacca di memoria Antoninocannavacciuoliana al buon Gianni Castaldi dell’ufficio stampa (a proposito, stai bene?). Gasperini è ben lontano dal romanizzarsi. E forse è meglio così, perché i piemontesi a Roma qualcosa di buono lo hanno pur fatto qualche anno fa.
