La Roma sapeva. Sapeva che stava per nascere questa nuova realtà con il cuore mezzo giallo e mezzo rosso. E allora quale miglior modo di augurare le migliori fortune con un primo posto in classifica? Pensato, detto e fatto. Con l’ennesimo successo in trasferta, il quinto in campionato, il settimo considerando l’Europa. Ribadendo, se mai ce ne fosse stato bisogno, come la cura Gasperini stia continuando ad avere gli effetti sperati, proseguendo con quell’onda lunga iniziata quando Claudio Ranieri si è seduto sulla nostra panchina, cominciando progressivamente a curare la devastazione lasciata da Attila Juric.
Non si può parlare di casualità o la conseguenza di un pezzo di calendario particolarmente favorevole. Non si può dopo dodici partite di campionato che rappresentano quasi un terzo di tutto il cucuzzaro. Non lo fa più neppure Gasperini, maestro di calcio come ce ne sono pochi in giro per il mondo, alimentando, con motivazioni ormai solide, quel sogno che sta cullando l’intero popolo romanista che pure a Cremona si è presentato con la consueta passione perché non ti lasceremo mai sola. Sarebbe colpevole e falsamente modesto parlare, oggi, di casualità. Del resto ci sono i numeri che lo certificano in maniera indiscutibile. E i numeri sono come gli occhi citati da Al Pacino in Scarface, non mentono mai, alla faccia anche della matematica del caos che vuole convincerci che due più due non è detto faccia quattro.
Mettiamo allora in fila un po’ di questi numeri messi insieme dalla Roma del Gasp nei suoi primi tre mesi e mezzo di calcio ufficiale all’ombra del Colosseo: nove vittorie in dodici partite; ventisette punti in classifica per una media di 2,25 ogni novanta minuti, media che se proiettata per le trentotto partite del campionato, certifica 85,5, roba da scudetto o giù di lì; gol realizzati con i tre di Cremona (per la prima volta si è andati oltre le due reti) che dicono quindici per una media di 1,25 a gara; gol subiti sei che vuol dire mezzo a partita.
Ma poi c’è dell’altro che, forse, conta ancora di più. In particolare la sensazione, forte e chiara, di una Roma in crescita esponenziale, ancora ranieriana per compattezza e solidità, ma sempre più gaspeririana. Con una mentalità offensiva che si sta costruendo sempre più. Con un’ubbidienza tattica che di sicuro sta facendo felice il suo allenatore. Con il recupero di quasi tutti i giocatori, pensate per esempio a Pellegrini, Hermoso, Celik. Con una visione sempre più sicura di quello che deve fare in campo. Con le invenzioni del suo allenatore che ne certificano la dimensione di grande tecnico, da Wesley spostato a sinistra a Celik restituito al ruolo di esterno a tutto campo, da Cristante (a Cremona) sistemato nella ripresa come braccetto a destra (ruolo sconosciuto al giocatore) a Baldanzi centravanti sistemato lì per creare spazi e facilitare incursioni da parte di qualsiasi compagno avesse voglia e intuizione per farlo.
Ecco, alla luce di tutto questo e di un entusiasmo più che legittimo da parte dei tifosi ma che noi speriamo ardentemente che rimanga fuori dallo spogliatoio di Trigoria, c’è da riflettere e farsi una domanda. Ovvero: non sarà il caso, nel prossimo mercato di gennaio, fare pure il passo più lungo della gamba, per continuare ad alimentare il sogno? Se non altro perché i numeri che abbiamo citato ci dicono che un problema c’è ed è quello che la Roma segna poco. È vero, a Cremona si è sbloccato Ferguson, ma la produzione offensiva dei giallorossi rimane ancora un problema da risolvere. E allora perché non dare a Gasperini quello che chiede Gasperini? Cioè un paio di attaccanti. Un centravanti e un esterno offensivo di piede destro. Azzardiamo due nomi: Zirkzee e Raspadori. Quel sogno che ci piace tanto non sarebbe ancora più sogno?
